IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento di prevenzione a carico di Zagaria Vincenzo, di Domenico e di Vicigrado Maria, nato a San Cipriano d'Aversa (Caserta) il 22 giugno 1957, residente a Casapesenna (Caserta), alla via Garibaldi n. 8, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale della P.S. per la durata di anni quattro, con obbligo di soggiorno nel comune di Casapesenna (Caserta), appellante; Letta l'istanza datata 29 aprile 1994, con la quale il difensore, avv. Luigi Monaco, ha richiesto a questo tribunale di voler modificare, per motivi di lavoro, la localita' di soggiorno obbligato del proprio assistito; Letto il parere contrario del pubblico ministero, il quale ha ribadito che "la legge attuale prevede l'obbligo di soggiorno esclusivamente nel comune di residenza"; F A T T O Con istanza depositata in data 29 aprile 1994 l'avv. Luigi Monaco, difensore di Zagaria Vincenzo, premesso: a) che con decreto di questo tribunale del 29 luglio 1993 - appellato dal proposto - Zagaria Vincenzo era stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale della P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di Casapesenna (Caserta) per la durata di anni 4 (quattro), ai sensi della legge n. 575 del 31 maggio 1965; b) che tra le prescrizioni era stato imposto allo Zagaria "di darsi alla ricerca di un lavoro"; c) che vani erano stati i tentativi dello Zagaria per ottenere un'attivita' lavorativa; d) che lo Zagaria aveva rivolto istanza di occupazione al sindaco del comune di residenza, il quale aveva risposto attestando l'oggettiva impossibilita' di reperire in loco un posto di lavoro, seppur saltuario; e) che Zagaria Raffaele, fratello del proposto, amministratore unico della S.n.c. "Frine", aveva avviato i lavori di attuazione per la imminente stagione balneare, del lido denominato "Airone", sito in localita' Ischitella di Castelvolturno (Caserta); f) che Zagaria Raffaele era disposto ad assumere il germano Vincenzo, impiengandolo continuativamente nell'attivita' di guardiania, assicurandogli nel contempo alloggio anche per le ore notturne, richiedeva a questo tribunale di modificare la localita' di soggiorno obbligato dello Zagaria Vincenzo, allo scopo di consentirgli di lavorare, autorizzandolo a dimorare, anche nelle ore notturne, nel comune di Ischitella di Castelvolturno (Caserta), alloggiando presso la struttura balneare amministrata dal germano Raffaele. Alla istanza il difensore allegava: 1) atto di cessione di quota sociale della S.n.c. "Frine"; 2) certificato di iscrizione della predetta S.n.c. nel registro delle ditte istituito presso la Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Caserta; 3) richiesta di lavoro del proposto Zagaria Vincenzo rivolta al sindaco del comune di Casapesenna (Caserta); 4) risposta negativa del sindaco del comune di Casapesenna (Caserta); 5) dichiarazione di disponibilita' all'assunzione al lavoro sottoscritta da Zagaria Raffaele, nella qualita' di amministratore unico della S.n.c. "Frine". Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di S. Maria Capua Vetere (Caserta), richiesto di esprimere il proprio parere, ha evidenziato che "la legge attuale prevede l'obbligo di soggiorno esclusivamente nel comune di residenza", ed ha concluso per il rigetto dell'istanza. D I R I T T O 1. - Il tribunale e' chiamato a decidere su un'istanza di modifica del luogo di soggiorno obbligato, formulata per motivi di lavoro, dal difensore di un soggetto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale della P.S. per la durata di anni 4, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Conformemente a quanto ribadito dal pubblico ministero nel suo parere in atti, effettivamente dal combinato disposto dall'art. 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575 (prima modificato dall'art. 8 della legge 3 agosto 1988, n. 327, poi dall'art. 20 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, sostituito dall'art. 22 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, ed - infine - modificato dall'art. 1 della legge 24 luglio 1993, n. 256) e 3, terzo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e' attualmente previsto che, con l'applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale della P.S., nei casi in cui le altre misure non siano ritenute idonee alla tutela della sicurezza pubblica "puo' essere imposto l'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale", e non piu' in altro comune. Peraltro, dalle disposizioni transitorie dettate dall'art. 24 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, primo comma, della legge 12 luglio 1991, n. 203, nonche' dal secondo e terzo comma (ora abrogati) dell'art. 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575 (cosi' come sostituito dall'art. 20 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, primo comma, della legge 12 luglio 1991, n. 203), e' lecito arguire che - in un primo momento - il legislatore avesse inteso, comunque, riservare al tribunale, sezione misure di prevenzione, un'area di discrezionalita' nell'individuazione di una localita' eventualmente diversa da quella di residenza e/o di abituale dimora del proposto, in cui lo stesso avrebbe potuto parimenti scontare la misura dell'obbligo di soggiorno, comunque limitando tale indicazione alternativa ai soli casi di ravvisate "eccezionali esigenze di tutela sociale o di tutela dell'incolumita' della persona interessata". Senonche', dopo l'abrogazione del secondo e terzo comma dell'art. 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575 (prima modificato dall'art. 8 della legge 3 agosto 1988, n. 327, poi dall'art. 20 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, sostituito dall'art. 22 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, ed - infine - modificato dall'art. 1 della legge 24 luglio 1993, n. 256), non e' piu' consentita al tribunale, sezione misure di prevenzione - nemmeno su segnalazione del questore, del procuratore nazionale antimafia o del procuratore della Repubblica - la modifica della localita' di obbligo di soggiorno, che, prima della soppressione del secondo e terzo comma, dell'art. 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, era consentita esclusivamente nei casi in cui ricorrevano "eccezionali esigenze di tutela sociale o di tutela dell'incolumita' della persona interessata". Infatti - attualmente - a norma dell'art. 7, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, cosi' come modificato dall'art. 11 del d.l. 31 dicembre 1991, n. 419, e - da ultimo - dall'art. 1 della legge 24 luglio 1993, n. 256, e' tassativamente previsto che "il provvedimento puo' essere altresi' modificato, anche per l'applicazione del divieto o dell'obbligo di soggiorno, su richiesta dell'autorita' proponente, quando ricorrono gravi esigenze di ordine e di sicurezza pubblica". E' rimasta - cosi' - preclusa, da un lato al pubblico ministero ed al questore che non siano "autorita' proponente", la possibilita' di "proporre", e dall'altro al tribunale, sezione misure di prevenzione, la possibilita' di "modificare", in costanza di espiazione della misura di prevenzione della P.S., la localita' di soggiorno obbligato, anche quando, come nel caso di specie, tale modifica, richiesta dall'interessato, sia finalizzata all'espletamento - ritenuto altrimenti impossibile - di attivita' lavorativa, posto che la norma attuale consente esclusivamente la modifica in peius della misura di prevenzione, con l'ulteriore applicazione anche del divieto o dell'obbligo di soggiorno, solo "quando ricorrono gravi esigenze di ordine e di sicurezza pubblica" (e non gia' anche esigenze di lavoro). Ad avviso del collegio, ormai abrogati il secondo e terzo comma, con l'attuale formulazione dell'art. 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e' stata inibita al giudice delle misure di prevenzione qualsivoglia possibilita' di valutare l'opportunita' di disporre la modifica della localita' di soggiorno obbligato, per cui non puo' che concludersi che l'attuale normativa non consente a questo tribunale alcuna interpretazione tale da poter decidere, sia pure bilanciando adeguatamente le esigenze di tutela della collettivita' con il diritto al lavoro del soggiornante obbligato, sull'istanza formulata dal difensore del proposto Zagaria Vincenzo, se non con una declaratoria di inammissibilita', senza poter valutare la richiesta nel merito. 2. - Da cio' discende il sospetto di incostituzionalita' del combinato disposto degli artt. 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575 (cosi' come modificato dall'art. 1 della legge 24 luglio 1993, n. 256) e 3, terzo comma, 7, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, per contrasto con gli artt. 1, primo comma, 4, 24, 27, secondo comma, e 111 della Costituzione, nella parte in cui non consente al tribunale, sezione misure di prevenzione, di esaminare nel merito l'istanza di modifica della localita' in cui il soggetto sottoposto alla misura di prevenzione della P.S. sconti la misura dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di abituale dimora, nemmeno nell'ipotesi in cui l'istanza stessa sia motivata dall'esigenza di adempiere alla prescrizione di "darsi alla ricerca di un lavoro", imposta dall'art. 5, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423. 3. - Il sospettato vulnus dell'art. 1, primo comma, della Costituzione discende dalla circostanza che l'esplicazione di attivita' costituisce il fondamento primario della Repubblica italiana. Negli atti dell'assemblea costituente, testualmente si legge " .. niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico; ma affermazione del dovere di ogni uomo di essere quello che ciascuno puo' in proporzione dei talenti naturali, sicche' la massima espansione di questa comunita' popolare potra' essere raggiunta solo quando ogni uomo avra' realizzato, nella pienezza del suo essere, il massimo contributo alla prosperita' comune .." (pag. 2369, rel. Fanfani). Ed ancora la Consulta - al riguardo - ha ribadito che "con la dichiarazione che pone il lavoro a fondamento della Repubblica si e' inteso affermare la preminenza di ogni attivita' lavorativa nel sistema dei diritti-doveri spettanti ai cittadini" (Corte costituzionale, 5 maggio 1967, n. 60). Orbene, precludere al tribunale, sezione misure di prevenzione, investito con documentata istanza, di poter esaminare nel merito la fondatezza di una richiesta di modifica del comune di soggiorno obbligato, formulata per esigenze di lavoro, nonche' la sua compatibilita' da un lato con il diritto-dovere al lavoro del proposto e dall'altro con le esigenze di tutela della collettivita', si pone in stridente contrasto con la norma costituzionale citata. In altri termini, rimossa la barriera preclusiva costituita dalla normativa denunziata, l'istanza del proposto ben potra' essere accolta o respinta dal tribunale, con una decisione di merito, effettuando un concreto bilanciamento fra la tutela di piu' diritti individuali e collettivi, tutti garantiti dall'ordinamento costituzionale, facendo ricorso a criteri di prudente valutazione, nonche' al consueto supporto istruttorio costituito delle dettagliate informative richieste dal tribunale agli organi locali di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza; il tutto al fine di impedire pericolosi fenomeni di "esportazione" sul territorio nazionale della presenza della criminalita' organizzata. In presenza di piu' diritti costituzionalmente garantiti, sacrificarne immotivatamente uno in favore di altri, addirittura precludendo al giudice di merito di valutare in concreto la preminenza dell'uno rispetto agli altri, si appalesa come irrazionale ed arbitrario, a scapito ora dell'uno, ora dell'altro diritto. 4. - Da cio' discende l'ulteriore contrasto delle norme denunziate anche con gli artt. 24 e 111 della Costituzione. Restando - infatti - irrazionalmente inibita la possibilita' di accogliere o respingere l'istanza, si nega al proposto il diritto ad una motivata pronuncia del tribunale in esito ad una propria richiesta, volta all'attuazione di un diritto costituzionalmente protetto (ad hoc balancing test). Ad avviso del giudice rimettente, anche nel giudizio incidentale inserito nell'ambito di un procedimento di prevenzione della P.S., non soltanto deve essere data al proposto la concreta possibilita' di difendersi, allegando documenti e deducendo fatti e circostanze, ma il tribunale deve avere comunque il potere-dovere di accogliere, ovvero di disattendere le prospettazioni delle parti, qualora ritenute non significative o fuorvianti, dandone pero' puntuale giustificazione, con adeguata motivazione, alla luce dei principi costituzionali in gioco. Tutto cio' - ad avviso del tribunale - e' il fine della motivazione di qualunque provvedimento giurisdizionale; quello, cioe', di comprovare l'osservanza, fra l'altro, dei canoni di logica e d'imparzialita' e di darne contezza al cittadino ed, eventualmente, al giudice di legittimita' chiamato a sindacarne i contenuti. Nel caso di specie, il denunziato contrasto e' attuale e rilevante, ove solo si consideri che, come si evince dagli atti, il sindaco, con nota del 7 marzo 1994 ha attestato la situazione di "dissesto finanziario" del comune, affermando altresi' che "sul territorio di questo comune non esistono fabbriche e industrie per lavorazioni varie". 5. - Ma il combinato disposto delle norme denunziate svela ancor piu' tutta la sua irrazionalita' (donde la sua ulteriore rilevanza ai fini dell'invocato giudizio di costituzionalita') ove solo si consideri che tra le prescrizioni imposte allo Zagaria Vincenzo, con il decreto di sorveglianza speciale, e' contraddittoriamente ricompresa proprio quella di "darsi alla ricerca di un lavoro" (vds. decr. cit., pag. 19). Giustamente il sistema normativo prevede che tra le prescrizioni obbligatorie, in caso di irrogazione di misura di prevenzione della P.S., venga ricompresa anche quella di "darsi, entro un congruo termine, alla ricerca di un lavoro" (art. 5, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423), poiche' proprio la mancanza di occupazione costituisce - secondo la comune esperienza criminologica - l'humus ideale dal quale i sodalizi criminosi attingono manovalanza, offrendo condizioni economiche e di sostentamento, spesso accolte dai soggetti disoccupati a rischio, proprio per la totale assenza di valide e lecite alternative occupazionali. Si profila - pertanto - un ulteriore contrasto della normativa denunziata con l'art. 27, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui consente che un provvedimento giurisdizionale, con manifesta irrazionalita' e contraddittorieta' con le norme cui si ispira, nel mentre impone al cittadino una prescrizione, contestualmente gli impedisce proprio l'adempimento di quella medesima prescrizione. E' di tutta evidenza - infatti - che il "diritto al lavoro", riconosciuto essenziale anche nei confronti del condannato, a fortiori non puo' essere negato al cittadino non gia' riconosciuto "colpevole" ma soltanto abbisognevole, per la sua pericolosita' sociale, di piu' assidui controlli di P.S., per esigenze di tutela e nell'interesse della collettivita'. Nel caso di specie la declaratoria d'inammissibilita' dell'istanza dell'interessato (per tutto quanto innanzi esposto), non potra' che provocare la ricerca - da parte del proposto - (anche per sopravvivere), di espedienti contrari alla condotta impostagli con il decreto di prevenzione, che irrazionalmente ne potranno addirittura elevare il gia' riconosciuto livello di pericolosita' sociale. L'attuale denunziata normativa - ad avviso del tribunale - finisce proprio per vanificare gli scopi che hanno ispirato l'innovazione della disciplina in tema di soggiorno obbligato, il cui punto di arrivo e' costituito dalla legge 24 luglio 1993, n. 256, che ha previsto indiscriminatamente la riconduzione del luogo di applicazione del soggiorno obbligato a quello di residenza (o di dimora abituale) del soggetto proposto, omettendo di considerare che, in casi eccezionali, come quello attualmente all'esame del tribunale, deve essere consentito al giudice della prevenzione di operare una prudente valutazione, la quale non potra' che essere effettuata nella medesima ottica di rispetto degli obiettivi di prevenzione sottesi alla legislazione in argomento, proprio al fine di contenere il livello di pericolosita' sociale al di sotto della soglia di tollerabilita' sociale. L'elemento primario, idoneo ad attuare - in concreto - il programma di contrasto e di controllo nella pericolosita' sociale del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione con obbligo di soggiorno e' - appunto - costituito, cosi' come prescritto dall'art. 5, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, dall'esito favorevole (non inibito incostituzionalmente dalla legge) della prescrizione di "darsi, entro un congruo termine, alla ricerca di un lavoro". 6. - Dalla suddetta antinomia discende il contrasto delle norme denunziate anche con l'art. 4 della Costituzione, poiche' il combinato disposto normativo denunziato - nel caso di specie - impedisce l'esercizio di un'attivita' lavorativa e nega immotivatamente il diritto al lavoro, che non solo la Carta costituzionale riconosce in favore di tutti i cittadini, ma il cui promuovimento costituisce un dovere fondamentale della Repubblica, oltre che dello stesso cittadino uti singulus. Il primo e piu' alto valore che si possa attribuire al diritto al lavoro e' - infatti - quello della "liberta' di lavorare". Secondo autorevole dottrina detto diritto va ritenuto "una garanzia della liberta' personale, per effetto della quale ogni cittadino puo' chiedere che i pubblici poteri si astengano da qualsiasi intervento rivolto ad impedire l'attivita' di lavoro dei privati, la scelta ed il moto di esercizio di essa, salvo naturalmente i divieti di ordine pubblico". Non - quindi - obbligo per lo Stato di fornire lavoro a coloro che ne siano involontariamente privi, ma obbligo di promuovere le condizioni per rendere effettivo il diritto al lavoro. Va comunque detto che, sussistendo, nel caso di cittadini sottoposti alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale della P.S. con obbligo di soggiorno in un determinato comune, una presunzione di pericolosita', dovrebbe essere il giudice a vagliare nel merito un'istanza come quella sottoposta all'esame del tribunale, ma, nel caso di specie - come gia' visto - l'attuale formulazione delle norme denunciate preclude al tribunale qualsiasi vaglio dell'istanza nel merito, nonche' decidere se concedere o meno l'invocata modifica, eliminando cosi' la possibilita' di operare un concreto bilanciamento fra le esigenze di tutela della collettivita' ed il diritto-dovere al lavoro del proposto, applicando - con prudenza e non indiscriminatamente - i medesimi criteri che hanno ispirato l'innovazione della disciplina in tema di soggiorno obbligato introdotta dalla legge 24 luglio 1993, n. 256 (Modifica dell'istituto del soggiorno obbligato e dell'art. 2- ter della legge 31 maggio 1965, n. 575), mirata alla riconduzione del luogo di applicazione del soggiorno obbligato a quello di residenza (o di dimora abituale) del soggetto proposto e finalizzata ad evitare incontrollati fenomeni di "esportazione" sul territorio nazionale della presenza della criminalita' organizzata. In altri termini, ad avviso del giudice rimettente, laddove non fosse consentito al tribunale - in casi eccezionali, come quello di specie - di individuare il luogo di applicazione del soggiorno obbligato anche in un comune diverso da quello di residenza (o di abituale dimora), il rimedio cui mira la nuova normativa - in taluni casi - rischierebbe di essere peggiore del male, favorendo lo sviluppo di ulteriori pericolose concentrazioni di soggetti mafiosi, proprio in quelle localita' in cui l'elevato tasso di disoccupazione e la mancanza di valide alternative lecite di lavoro costituiscono - come gia' detto - fertile humus per la nascita e la sopravvivenza di sodalizi criminosi. 7. - E' indubitabile, alla stregua delle suesposte motivazioni, la rilevanza delle dedotte questioni di illegittimita' costituzionale, dovendo questo tribunale decidere sulla documentata istanza formulata, per motivi di lavoro, dal difensore del proposto Zagaria Vincenzo tesa ad ottenere la modifica della localita' ove il proprio assistito sta attualmente scontando la misura di prevenzione della P.S. per la durata di anni 4 (quattro), con obbligo di soggiorno nel comune di Casapesenna (Caserta). E' altresi' in re ipsa la non manifesta infondatezza delle dedotte questioni di illegittimita' costituzionale, posto che, nella specie - alla stregua della denunciata normativa - confliggono fra di loro diritti costituzionalmente tutelati, senza alcuna possibilita' di intervento da parte del tribunale rimettente.