IL TRIBUNALE
    Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento di prevenzione  a
 carico  di Zagaria Vincenzo, di Domenico e di Vicigrado Maria, nato a
 San Cipriano d'Aversa  (Caserta)  il  22  giugno  1957,  residente  a
 Casapesenna  (Caserta),  alla  via  Garibaldi  n.  8, sottoposto alla
 misura di prevenzione della sorveglianza speciale della P.S.  per  la
 durata  di  anni  quattro,  con  obbligo  di  soggiorno nel comune di
 Casapesenna (Caserta), appellante;
    Letta l'istanza datata 29 aprile 1994, con la quale il  difensore,
 avv.   Luigi  Monaco,  ha  richiesto  a  questo  tribunale  di  voler
 modificare, per motivi di lavoro, la localita' di soggiorno obbligato
 del proprio assistito;
    Letto il parere contrario del  pubblico  ministero,  il  quale  ha
 ribadito  che  "la  legge  attuale  prevede  l'obbligo  di  soggiorno
 esclusivamente nel comune di residenza";
                               F A T T O
    Con istanza depositata in data 29 aprile 1994 l'avv. Luigi Monaco,
 difensore di Zagaria Vincenzo, premesso:
       a) che con decreto di questo tribunale del  29  luglio  1993  -
 appellato  dal  proposto - Zagaria Vincenzo era stato sottoposto alla
 misura di prevenzione della  sorveglianza  speciale  della  P.S.  con
 obbligo  di  soggiorno  nel  comune  di  Casapesenna (Caserta) per la
 durata di anni 4 (quattro), ai sensi della legge n. 575 del 31 maggio
 1965;
       b) che tra le prescrizioni era stato imposto allo  Zagaria  "di
 darsi alla ricerca di un lavoro";
       c)  che vani erano stati i tentativi dello Zagaria per ottenere
 un'attivita' lavorativa;
       d)  che  lo  Zagaria  aveva  rivolto  istanza di occupazione al
 sindaco del comune di residenza, il quale aveva  risposto  attestando
 l'oggettiva  impossibilita'  di  reperire in loco un posto di lavoro,
 seppur saltuario;
       e) che Zagaria Raffaele, fratello del proposto,  amministratore
 unico  della S.n.c. "Frine", aveva avviato i lavori di attuazione per
 la imminente stagione balneare, del lido denominato "Airone", sito in
 localita' Ischitella di Castelvolturno (Caserta);
       f) che Zagaria Raffaele era disposto  ad  assumere  il  germano
 Vincenzo,    impiengandolo    continuativamente   nell'attivita'   di
 guardiania, assicurandogli nel contempo alloggio  anche  per  le  ore
 notturne, richiedeva a questo tribunale di modificare la localita' di
 soggiorno   obbligato   dello   Zagaria   Vincenzo,   allo  scopo  di
 consentirgli di lavorare, autorizzandolo a dimorare, anche nelle  ore
 notturne,  nel  comune  di  Ischitella  di  Castelvolturno (Caserta),
 alloggiando presso la struttura  balneare  amministrata  dal  germano
 Raffaele.
    Alla istanza il difensore allegava:
      1) atto di cessione di quota sociale della S.n.c. "Frine";
      2)  certificato di iscrizione della predetta S.n.c. nel registro
 delle ditte istituito  presso  la  Camera  di  commercio,  industria,
 artigianato ed agricoltura di Caserta;
      3)  richiesta di lavoro del proposto Zagaria Vincenzo rivolta al
 sindaco del comune di Casapesenna (Caserta);
      4) risposta negativa  del  sindaco  del  comune  di  Casapesenna
 (Caserta);
      5)  dichiarazione  di  disponibilita'  all'assunzione  al lavoro
 sottoscritta da Zagaria Raffaele, nella  qualita'  di  amministratore
 unico della S.n.c. "Frine".
    Il  procuratore  della  Repubblica presso il tribunale di S. Maria
 Capua Vetere (Caserta), richiesto di esprimere il proprio parere,  ha
 evidenziato  che  "la  legge  attuale  prevede l'obbligo di soggiorno
 esclusivamente nel comune  di  residenza",  ed  ha  concluso  per  il
 rigetto dell'istanza.
                             D I R I T T O
    1. - Il tribunale e' chiamato a decidere su un'istanza di modifica
 del luogo di soggiorno obbligato, formulata per motivi di lavoro, dal
 difensore  di un soggetto sottoposto alla misura di prevenzione della
 sorveglianza speciale della P.S. per la durata di anni 4, con obbligo
 di soggiorno nel comune di residenza.
    Conformemente a quanto ribadito dal  pubblico  ministero  nel  suo
 parere  in  atti,  effettivamente  dal combinato disposto dall'art. 2
 della legge 31 maggio 1965, n.  575  (prima  modificato  dall'art.  8
 della  legge  3  agosto  1988,  n. 327, poi dall'art. 20 del d.l. 13
 maggio 1991, n. 152, sostituito dall'art. 22 del d.l. 8 giugno 1992,
 n. 306, ed - infine - modificato dall'art. 1 della  legge  24  luglio
 1993,  n.  256)  e  3,  terzo comma, della legge 27 dicembre 1956, n.
 1423, e' attualmente previsto che, con l'applicazione della misura di
 prevenzione della sorveglianza speciale della P.S., nei casi  in  cui
 le altre misure non siano ritenute idonee alla tutela della sicurezza
 pubblica  "puo'  essere  imposto l'obbligo di soggiorno nel comune di
 residenza o di dimora abituale", e non piu' in altro comune.
    Peraltro, dalle disposizioni transitorie dettate dall'art. 24  del
 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge, con modificazioni,
 dall'art. 1, primo comma, della legge 12 luglio 1991, n. 203, nonche'
 dal  secondo  e terzo comma (ora abrogati) dell'art. 2 della legge 31
 maggio  1965, n. 575 (cosi' come sostituito dall'art. 20 del d.l. 13
 maggio  1991,  n.  152,  convertito  in  legge,  con   modificazioni,
 dall'art.  1,  primo  comma,  della legge 12 luglio 1991, n. 203), e'
 lecito arguire che - in un primo  momento  -  il  legislatore  avesse
 inteso,   comunque,   riservare   al  tribunale,  sezione  misure  di
 prevenzione, un'area di discrezionalita' nell'individuazione  di  una
 localita'  eventualmente  diversa  da  quella  di  residenza  e/o  di
 abituale dimora  del  proposto,  in  cui  lo  stesso  avrebbe  potuto
 parimenti  scontare  la  misura  dell'obbligo  di soggiorno, comunque
 limitando tale indicazione alternativa  ai  soli  casi  di  ravvisate
 "eccezionali  esigenze di tutela sociale o di tutela dell'incolumita'
 della persona interessata".
    Senonche', dopo l'abrogazione del secondo e terzo comma  dell'art.
 2  della  legge  31 maggio 1965, n. 575 (prima modificato dall'art. 8
 della legge 3 agosto 1988, n. 327, poi  dall'art.  20  del  d.l.  13
 maggio 1991, n. 152, sostituito dall'art. 22 del d.l. 8 giugno 1992,
 n.  306,  ed  - infine - modificato dall'art. 1 della legge 24 luglio
 1993, n. 256), non e' piu' consentita al tribunale, sezione misure di
 prevenzione - nemmeno su segnalazione del questore,  del  procuratore
 nazionale  antimafia o del procuratore della Repubblica - la modifica
 della  localita'  di  obbligo  di   soggiorno,   che,   prima   della
 soppressione  del  secondo  e terzo comma, dell'art. 2 della legge 31
 maggio 1965, n. 575, era consentita esclusivamente nei  casi  in  cui
 ricorrevano  "eccezionali  esigenze  di  tutela  sociale  o di tutela
 dell'incolumita' della persona interessata".
    Infatti - attualmente - a norma dell'art. 7, secondo comma,  della
 legge  27  dicembre 1956, n. 1423, cosi' come modificato dall'art. 11
 del d.l. 31 dicembre 1991, n. 419, e - da ultimo - dall'art. 1 della
 legge 24 luglio 1993, n. 256,  e'  tassativamente  previsto  che  "il
 provvedimento    puo'   essere   altresi'   modificato,   anche   per
 l'applicazione del divieto o dell'obbligo di soggiorno, su  richiesta
 dell'autorita'  proponente, quando ricorrono gravi esigenze di ordine
 e di sicurezza pubblica".
    E' rimasta - cosi' - preclusa, da un lato al pubblico ministero ed
 al questore che non siano "autorita' proponente", la possibilita'  di
 "proporre", e dall'altro al tribunale, sezione misure di prevenzione,
 la  possibilita'  di  "modificare",  in  costanza di espiazione della
 misura  di  prevenzione  della  P.S.,  la  localita'   di   soggiorno
 obbligato,  anche  quando,  come  nel  caso di specie, tale modifica,
 richiesta  dall'interessato,  sia  finalizzata   all'espletamento   -
 ritenuto  altrimenti impossibile - di attivita' lavorativa, posto che
 la norma attuale consente esclusivamente la modifica in  peius  della
 misura di prevenzione, con l'ulteriore applicazione anche del divieto
 o dell'obbligo di soggiorno, solo "quando ricorrono gravi esigenze di
 ordine  e  di  sicurezza  pubblica"  (e  non  gia'  anche esigenze di
 lavoro).
    Ad avviso del collegio, ormai abrogati il secondo e  terzo  comma,
 con l'attuale formulazione dell'art. 2 della legge 31 maggio 1965, n.
 575,  e'  stata  inibita  al  giudice  delle  misure  di  prevenzione
 qualsivoglia possibilita' di valutare l'opportunita' di  disporre  la
 modifica della localita' di soggiorno obbligato, per cui non puo' che
 concludersi  che  l'attuale normativa non consente a questo tribunale
 alcuna interpretazione tale da poter decidere, sia  pure  bilanciando
 adeguatamente  le  esigenze  di  tutela  della  collettivita'  con il
 diritto al lavoro del soggiornante obbligato, sull'istanza  formulata
 dal   difensore  del  proposto  Zagaria  Vincenzo,  se  non  con  una
 declaratoria di inammissibilita', senza poter valutare  la  richiesta
 nel merito.
    2.  -  Da  cio'  discende  il  sospetto di incostituzionalita' del
 combinato disposto degli artt. 2 della legge 31 maggio 1965,  n.  575
 (cosi'  come  modificato  dall'art.  1 della legge 24 luglio 1993, n.
 256) e 3, terzo comma, 7, secondo  comma,  della  legge  27  dicembre
 1956, n. 1423, per contrasto con gli artt. 1, primo comma, 4, 24, 27,
 secondo  comma,  e  111  della  Costituzione,  nella parte in cui non
 consente al tribunale, sezione misure di  prevenzione,  di  esaminare
 nel  merito  l'istanza di modifica della localita' in cui il soggetto
 sottoposto alla misura di prevenzione della  P.S.  sconti  la  misura
 dell'obbligo  di  soggiorno  nel  comune  di  residenza o di abituale
 dimora, nemmeno nell'ipotesi in cui  l'istanza  stessa  sia  motivata
 dall'esigenza  di  adempiere alla prescrizione di "darsi alla ricerca
 di un lavoro", imposta dall'art. 5, secondo  comma,  della  legge  27
 dicembre 1956, n. 1423.
    3.  -  Il  sospettato  vulnus  dell'art.  1,  primo  comma,  della
 Costituzione  discende  dalla  circostanza  che   l'esplicazione   di
 attivita'   costituisce   il  fondamento  primario  della  Repubblica
 italiana.
    Negli atti dell'assemblea costituente, testualmente si legge "  ..
 niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente
 si  potrebbe  immaginare, del puro sforzo fisico; ma affermazione del
 dovere di ogni uomo di essere quello che ciascuno puo' in proporzione
 dei  talenti  naturali,  sicche'  la  massima  espansione  di  questa
 comunita'  popolare  potra'  essere  raggiunta  solo quando ogni uomo
 avra'  realizzato,  nella  pienezza  del  suo  essere,   il   massimo
 contributo alla prosperita' comune .." (pag. 2369, rel. Fanfani).
    Ed  ancora  la  Consulta  -  al riguardo - ha ribadito che "con la
 dichiarazione che pone il lavoro a fondamento della Repubblica si  e'
 inteso  affermare  la  preminenza  di  ogni  attivita' lavorativa nel
 sistema   dei   diritti-doveri   spettanti   ai   cittadini"   (Corte
 costituzionale, 5 maggio 1967, n. 60).
    Orbene,  precludere  al  tribunale, sezione misure di prevenzione,
 investito con documentata istanza, di poter esaminare nel  merito  la
 fondatezza  di  una  richiesta  di  modifica  del comune di soggiorno
 obbligato,  formulata  per  esigenze  di  lavoro,  nonche'   la   sua
 compatibilita'  da  un  lato  con  il  diritto-dovere  al  lavoro del
 proposto e dall'altro con le esigenze di tutela della  collettivita',
 si pone in stridente contrasto con la norma costituzionale citata.
    In  altri termini, rimossa la barriera preclusiva costituita dalla
 normativa  denunziata,  l'istanza  del  proposto  ben  potra'  essere
 accolta  o  respinta  dal  tribunale,  con  una  decisione di merito,
 effettuando un concreto bilanciamento fra la tutela di  piu'  diritti
 individuali    e   collettivi,   tutti   garantiti   dall'ordinamento
 costituzionale, facendo ricorso a criteri  di  prudente  valutazione,
 nonche' al consueto supporto istruttorio costituito delle dettagliate
 informative  richieste  dal  tribunale  agli organi locali di polizia
 giudiziaria e di pubblica sicurezza; il tutto  al  fine  di  impedire
 pericolosi  fenomeni di "esportazione" sul territorio nazionale della
 presenza della criminalita' organizzata.
    In   presenza   di   piu'  diritti  costituzionalmente  garantiti,
 sacrificarne immotivatamente uno  in  favore  di  altri,  addirittura
 precludendo   al  giudice  di  merito  di  valutare  in  concreto  la
 preminenza dell'uno rispetto agli altri, si appalesa come irrazionale
 ed arbitrario, a scapito ora dell'uno, ora dell'altro diritto.
    4. - Da cio' discende l'ulteriore contrasto delle norme denunziate
 anche con gli artt. 24 e 111 della Costituzione.
    Restando - infatti - irrazionalmente inibita  la  possibilita'  di
 accogliere  o respingere l'istanza, si nega al proposto il diritto ad
 una  motivata  pronuncia  del  tribunale  in  esito  ad  una  propria
 richiesta,  volta  all'attuazione  di  un  diritto costituzionalmente
 protetto (ad hoc balancing test).
    Ad avviso del giudice rimettente, anche nel  giudizio  incidentale
 inserito  nell'ambito  di  un procedimento di prevenzione della P.S.,
 non soltanto deve essere data al proposto la concreta possibilita' di
 difendersi, allegando documenti e deducendo fatti e  circostanze,  ma
 il  tribunale  deve  avere  comunque  il potere-dovere di accogliere,
 ovvero  di  disattendere  le  prospettazioni  delle  parti,   qualora
 ritenute  non  significative  o  fuorvianti,  dandone  pero' puntuale
 giustificazione, con adeguata motivazione,  alla  luce  dei  principi
 costituzionali in gioco.
    Tutto  cio'  -  ad  avviso  del  tribunale  -  e'  il  fine  della
 motivazione  di  qualunque  provvedimento  giurisdizionale;   quello,
 cioe',  di comprovare l'osservanza, fra l'altro, dei canoni di logica
 e d'imparzialita' e di darne contezza al cittadino ed, eventualmente,
 al giudice di legittimita' chiamato a sindacarne i contenuti.
    Nel  caso  di  specie,  il  denunziato  contrasto  e'  attuale   e
 rilevante,  ove  solo si consideri che, come si evince dagli atti, il
 sindaco, con nota del 7 marzo 1994  ha  attestato  la  situazione  di
 "dissesto  finanziario"  del  comune,  affermando  altresi'  che "sul
 territorio di questo comune non esistono fabbriche  e  industrie  per
 lavorazioni varie".
    5.  -  Ma il combinato disposto delle norme denunziate svela ancor
 piu' tutta la sua irrazionalita' (donde la sua ulteriore rilevanza ai
 fini  dell'invocato  giudizio  di  costituzionalita')  ove  solo   si
 consideri  che tra le prescrizioni imposte allo Zagaria Vincenzo, con
 il  decreto  di  sorveglianza   speciale,   e'   contraddittoriamente
 ricompresa  proprio quella di "darsi alla ricerca di un lavoro" (vds.
 decr. cit., pag. 19).
    Giustamente il sistema normativo prevede che tra  le  prescrizioni
 obbligatorie,  in  caso di irrogazione di misura di prevenzione della
 P.S., venga ricompresa anche  quella  di  "darsi,  entro  un  congruo
 termine,  alla  ricerca  di  un lavoro" (art. 5, secondo comma, della
 legge 27 dicembre 1956, n. 1423),  poiche'  proprio  la  mancanza  di
 occupazione  costituisce - secondo la comune esperienza criminologica
 -  l'humus  ideale  dal  quale   i   sodalizi   criminosi   attingono
 manovalanza,  offrendo  condizioni  economiche  e  di  sostentamento,
 spesso accolte dai soggetti disoccupati a  rischio,  proprio  per  la
 totale assenza di valide e lecite alternative occupazionali.
    Si  profila  -  pertanto  - un ulteriore contrasto della normativa
 denunziata con l'art. 27, secondo comma,  della  Costituzione,  nella
 parte  in  cui  consente  che  un  provvedimento giurisdizionale, con
 manifesta irrazionalita' e contraddittorieta' con  le  norme  cui  si
 ispira,   nel   mentre   impone   al   cittadino   una  prescrizione,
 contestualmente   gli   impedisce  proprio  l'adempimento  di  quella
 medesima prescrizione.
    E' di tutta evidenza - infatti  -  che  il  "diritto  al  lavoro",
 riconosciuto   essenziale  anche  nei  confronti  del  condannato,  a
 fortiori non puo' essere negato al cittadino  non  gia'  riconosciuto
 "colpevole"  ma  soltanto  abbisognevole,  per  la  sua pericolosita'
 sociale, di piu' assidui controlli di P.S., per esigenze di tutela  e
 nell'interesse della collettivita'.
    Nel caso di specie la declaratoria d'inammissibilita' dell'istanza
 dell'interessato  (per  tutto quanto innanzi esposto), non potra' che
 provocare  la  ricerca  -  da  parte  del  proposto  -   (anche   per
 sopravvivere), di espedienti contrari alla condotta impostagli con il
 decreto  di  prevenzione, che irrazionalmente ne potranno addirittura
 elevare il gia' riconosciuto livello di pericolosita' sociale.
    L'attuale denunziata normativa - ad avviso del tribunale - finisce
 proprio per vanificare gli scopi  che  hanno  ispirato  l'innovazione
 della  disciplina  in  tema  di  soggiorno obbligato, il cui punto di
 arrivo e' costituito dalla legge 24  luglio  1993,  n.  256,  che  ha
 previsto   indiscriminatamente   la   riconduzione   del   luogo   di
 applicazione del soggiorno obbligato a  quello  di  residenza  (o  di
 dimora abituale) del soggetto proposto, omettendo di considerare che,
 in casi eccezionali, come quello attualmente all'esame del tribunale,
 deve  essere  consentito  al giudice della prevenzione di operare una
 prudente valutazione, la quale non potra' che essere effettuata nella
 medesima ottica di rispetto degli obiettivi  di  prevenzione  sottesi
 alla  legislazione  in  argomento,  proprio  al  fine di contenere il
 livello  di  pericolosita'  sociale  al  di  sotto  della  soglia  di
 tollerabilita' sociale.
    L'elemento  primario,  idoneo  ad  attuare  -  in  concreto  -  il
 programma di contrasto e di controllo nella pericolosita' sociale del
 soggetto  sottoposto  alla  misura  di  prevenzione  con  obbligo  di
 soggiorno  e' - appunto - costituito, cosi' come prescritto dall'art.
 5, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n.  1423,  dall'esito
 favorevole  (non  inibito  incostituzionalmente  dalla  legge)  della
 prescrizione di "darsi, entro un congruo termine, alla ricerca di  un
 lavoro".
    6.  -  Dalla  suddetta antinomia discende il contrasto delle norme
 denunziate  anche  con  l'art.  4  della  Costituzione,  poiche'   il
 combinato  disposto  normativo  denunziato  -  nel  caso  di specie -
 impedisce   l'esercizio   di   un'attivita'   lavorativa    e    nega
 immotivatamente   il  diritto  al  lavoro,  che  non  solo  la  Carta
 costituzionale riconosce in favore di tutti i cittadini,  ma  il  cui
 promuovimento  costituisce  un  dovere fondamentale della Repubblica,
 oltre che dello stesso cittadino uti singulus.
    Il primo e piu' alto valore che si possa attribuire al diritto  al
 lavoro e' - infatti - quello della "liberta' di lavorare".
    Secondo   autorevole  dottrina  detto  diritto  va  ritenuto  "una
 garanzia della liberta'  personale,  per  effetto  della  quale  ogni
 cittadino  puo'  chiedere  che  i  pubblici  poteri  si  astengano da
 qualsiasi intervento rivolto ad impedire l'attivita'  di  lavoro  dei
 privati,   la   scelta  ed  il  moto  di  esercizio  di  essa,  salvo
 naturalmente i divieti di ordine pubblico".
    Non - quindi - obbligo per lo Stato di fornire lavoro a coloro che
 ne  siano  involontariamente  privi,  ma  obbligo  di  promuovere  le
 condizioni per rendere effettivo il diritto al lavoro.
    Va  comunque  detto  che,  sussistendo,  nel  caso  di   cittadini
 sottoposti  alla  misura  di  prevenzione della sorveglianza speciale
 della P.S. con obbligo di soggiorno in  un  determinato  comune,  una
 presunzione  di  pericolosita', dovrebbe essere il giudice a vagliare
 nel merito un'istanza come quella sottoposta all'esame del tribunale,
 ma, nel caso di specie - come gia'  visto  -  l'attuale  formulazione
 delle   norme  denunciate  preclude  al  tribunale  qualsiasi  vaglio
 dell'istanza  nel  merito,  nonche'  decidere  se  concedere  o  meno
 l'invocata  modifica,  eliminando cosi' la possibilita' di operare un
 concreto bilanciamento fra le esigenze di tutela della  collettivita'
 ed  il  diritto-dovere  al  lavoro  del  proposto,  applicando  - con
 prudenza e non indiscriminatamente - i  medesimi  criteri  che  hanno
 ispirato   l'innovazione   della  disciplina  in  tema  di  soggiorno
 obbligato introdotta dalla legge 24 luglio  1993,  n.  256  (Modifica
 dell'istituto  del soggiorno obbligato e dell'art. 2- ter della legge
 31 maggio 1965, n.  575),  mirata  alla  riconduzione  del  luogo  di
 applicazione  del  soggiorno  obbligato  a  quello di residenza (o di
 dimora abituale) del  soggetto  proposto  e  finalizzata  ad  evitare
 incontrollati  fenomeni  di  "esportazione"  sul territorio nazionale
 della presenza della criminalita' organizzata.
    In altri termini, ad avviso del giudice  rimettente,  laddove  non
 fosse  consentito  al tribunale - in casi eccezionali, come quello di
 specie - di  individuare  il  luogo  di  applicazione  del  soggiorno
 obbligato  anche  in  un  comune diverso da quello di residenza (o di
 abituale dimora), il rimedio cui mira la nuova normativa - in  taluni
 casi  -  rischierebbe  di  essere  peggiore  del  male,  favorendo lo
 sviluppo di ulteriori pericolose concentrazioni di soggetti  mafiosi,
 proprio  in quelle localita' in cui l'elevato tasso di disoccupazione
 e la mancanza di valide alternative lecite di lavoro costituiscono  -
 come  gia' detto - fertile humus per la nascita e la sopravvivenza di
 sodalizi criminosi.
    7. - E' indubitabile, alla stregua delle suesposte motivazioni, la
 rilevanza delle dedotte questioni di  illegittimita'  costituzionale,
 dovendo   questo   tribunale   decidere   sulla  documentata  istanza
 formulata, per motivi di lavoro, dal difensore del  proposto  Zagaria
 Vincenzo  tesa ad ottenere la modifica della localita' ove il proprio
 assistito sta attualmente scontando la misura  di  prevenzione  della
 P.S.  per la durata di anni 4 (quattro), con obbligo di soggiorno nel
 comune di Casapesenna (Caserta).
    E' altresi' in re ipsa la non manifesta infondatezza delle dedotte
 questioni di illegittimita' costituzionale, posto che, nella specie -
 alla stregua della denunciata normativa -  confliggono  fra  di  loro
 diritti  costituzionalmente  tutelati,  senza  alcuna possibilita' di
 intervento da parte del tribunale rimettente.